«I rapporti tra mafia e politica sono sempre esistiti»

Ad Altamura i sostituti procuratori Desirée Digeronimo e Roberto Pennisi. «Spesso non si denuncia perché manca la fiducia nelle Istituzioni»

lunedì 20 dicembre 2010 14.15
A cura di Anna Maria Colonna
Di mafia occorre parlare. Perché la mafia nasce, si nutre e cresce con il silenzio e con la solitudine delle vittime. È un'organizzazione criminale che controlla il territorio servendosi dell'intimidazione e che ambisce a crearsi spazi illeciti nel tessuto sociale. Ma la mafia oggi tende a controllare anche fette di mercato che producono introiti leciti, attraverso appalti e attività economiche.

Se ne è parlato lo scorso 17 dicembre nella sala conferenze "Tommaso Fiore" con Desirée Digeronimo, sostituto procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, e con Roberto Pennisi, sostituto procuratore della Direzione Nazionale Antimafia. Un incontro organizzato dal Circolo delle Formiche intitolato "Mafia, Affari, Politica". I due magistrati, intervistati dai giornalisti Ivan Cimmarusti (BariSera – l'Unità) e Mauro Denigris (Antenna Sud), non hanno rilasciato dichiarazioni in merito alla situazione altamurana degli ultimi mesi perché le indagini sono ancora in corso. Da ottobre, infatti, Pennisi affianca la Digeronimo nell'inchiesta sull'omicidio di Bartolomeo Dambrosio, avvenuto lo scorso 6 settembre. A moderare l'incontro, il giornalista Pasquale Dibenedetto (La Gazzetta del Mezzogiorno).

Per Desirée Digeronimo «i rapporti tra mafia e politica sono sempre esistiti, anche se in Puglia il fenomeno mafioso è molto più recente che in altre realtà. Si tratta di una mafia d'importazione, non lontana da noi, che attua una riconversione delle attività mafiose in ambiti che non gli sono propri». Per il Pubblico Magistrato il fenomeno può essere combattuto partendo dalla quotidianità, perché «la cultura della legalità si coltiva non accettando nessun tipo di raccomandazione». La mafia «ha sempre cercato di coesistere con il potere» e la domanda da porsi è «in che modo riesca ad acquisire il potere economico ed il controllo del territorio».

Per Pennisi «la mafia c'è sin dalla nascita dello Stato italiano. Esiste la mafia parlata, vissuta, fatta, patita e subita». Sono tre le categorie di cittadini che parlano del fenomeno, «i politici, i giornalisti e i magistrati». I politici ne parlano «per dire che gli altri sono mafiosi», i giornalisti «nel tentativo di sensibilizzare l'opinione pubblica sulla base di ciò che apprendono o dai politici o dai magistrati», i magistrati «ne dovrebbero parlare attraverso il loro lavoro». Un accenno anche all'articolo 416 bis del Codice penale, che tratta di "Associazione di tipo mafioso". Un articolo che «non parla di politica».

Per Pennisi «se un'organizzazione si definisce mafiosa deve necessariamente collegarsi all'altro da sé, che è quello della politica, dell'economia e delle istituzioni». E aggiunge che «le organizzazioni criminali si rendono conto dell'importanza della politica per il raggiungimento dei propri scopi e, viceversa, la politica si rende conto dell'importanza delle organizzazioni criminali per raggiungere i propri fini. I cittadini sanno chi è il soggetto mafioso perché ne conoscono il potere di intimidazione. Obiettivo delle associazioni mafiose non è l'uso delle armi, non è uccidere, perché incutono timore già di per sé. Gli omicidi sono segno che c'è crisi nella struttura e nell'organizzazione criminale». È il concetto di pax mafiosa, una sorta di «inabissamento» del fenomeno. E «chi non denuncia, non ha il coraggio di far valere i propri diritti». Una denuncia che spesso non arriva perché «non si ha fiducia nelle istituzioni, che devono proteggere e riaffermare il diritto leso. Non sempre chi denuncia viene tutelato perché non tutte le istituzioni sono mani, menti e cuori onesti». L'invito di Pennisi è a «denunciare i reati che si subiscono e a cui si assiste, fiduciosi che verranno portati nel cuore, nella mente e nelle mani di chi ha il compito di tutelare. E così che si agisce e si difende un territorio, insieme». Perché, ha concluso, «la giustizia arriva sempre e più velocemente se c'è quel numero di sentinelle di legalità di cui ha parlato il procuratore Laudati».


Desire Digeronimo e Roberto Pennisi ad Altamura © Anna Maria Colonna
Desire Digeronimo e Roberto Pennisi ad Altamura © Anna Maria Colonna
Desire Digeronimo e Roberto Pennisi ad Altamura © Anna Maria Colonna
Desire Digeronimo e Roberto Pennisi ad Altamura © Anna Maria Colonna
Desire Digeronimo e Roberto Pennisi ad Altamura © Anna Maria Colonna
Desire Digeronimo e Roberto Pennisi ad Altamura © Anna Maria Colonna
Desire Digeronimo e Roberto Pennisi ad Altamura © Anna Maria Colonna
Desire Digeronimo e Roberto Pennisi ad Altamura © Anna Maria Colonna
Desire Digeronimo e Roberto Pennisi ad Altamura © Anna Maria Colonna
Desire Digeronimo e Roberto Pennisi ad Altamura © Anna Maria Colonna