Babel. Integrazione attiva

L’Intercultura come fonte per recuperare l’etica

Un'analisi del nostro sistema sociale

Il nostro sistema sociale, economico e politico ha ormai più di tre secoli ed in questa sua lunga vita abbiamo avuto modo di conoscerlo e studiarne luci ed ombre, di apprezzarne enormi capacità di progresso, ma anche di individuarne deludenti limiti. Il Capitalismo è nato mercante nell'età feudale, poi s'è fatto banchiere, esploratore, conquistatore, imprenditore industriale, manager, operatore finanziario ed anche uomo mediatico. In ognuna delle sue evoluzioni ha sempre manifestato una visione dinamica del mondo, una profonda fiducia nelle capacità del'individuo, una caparbia e paziente ricerca di profitto personale ed un'incessante e contagiosa voglia di investire su se stesso e di rinnovarsi.

La sua attuale fase, ormai a tutti nota come globalizzazione, vede la popolazione mondiale sempre più parte di una sola società, il cosiddetto villaggio globale, in cui le barriere spazio-temporali sono state quasi completamente abbattute grazie al progresso tecnologico. In economia assistiamo allo sviluppo di un mercato globale senza dogane e con la produzione dislocata; in politica, entità sovrannazionali come l'Unione Europea sovrastano il ruolo decisionale dei singoli Stati; la società vede flussi di persone muoversi ogni giorno e stili di vita e valori farsi universali; i trasporti si velocizzano ed a costi sempre più accessibili annullano le distanze; infine la comunicazione e persino la finanza sono su scala globale. Ma tutto questo ha un costo.

Siamo in emergenza ambientale e sociale: la temperatura del pianeta, le emissioni di anidride carbonica e metano continuano a salire, dilaga la diseguaglianza sociale e la povertà: il 94% del reddito globale va al 40% della popolazione mondiale e il residuo 6% è attribuito al restante 60%. 1,2 miliardi di persone vive con meno di 1 dollaro al giorno e 2,8 miliardi con meno di 2 dollari. Un progresso senza precedenti lo paghiamo ad un prezzo senza precedenti in termini di alienazione sociale, omologazione delle vite, crescita di stati ansiosi e stress, crisi di valori tradizionali, strapotere delle multinazionali e "corsa verso il basso" : più quantità e meno qualità.

Cosa è mancato al Capitalismo per crescere in maniera più equa, sostenibile e giusta? È semplice: l'etica.
Il business ha come obiettivo produrre e creare profitto personale. Il social business, ossia fare economia senza tralasciare le regole etiche invece avrebbe il bene comune come fine ultimo. L'economia, il lavoro ed il denaro dovrebbero tornare a ricoprire il loro ruolo originario di mezzo per vivere e non di fine. E come potrebbe il sistema attuale recuperare un'etica che prima aveva ma che sembra aver perso definitivamente? Beh… io un'idea ce l'avrei.

Oggi le società sono diventate tutte multiculturali appunto grazie alla globalizzazione: svariate culture convivono una accanto all'altra condividendo spazi, mezzi e servizi. Ognuno di noi svolgendo le normali attività quotidiane si è soffermato almeno una volta a guardare quell'indiano fiero col suo turbante colorato in testa in fila alla posta o quella donna tunisina col viso contorniato da un delicato velo rosa che viene a prendere il compagno di scuola di nostro figlio o ancora quel cinese dalla lingua incomprensibile da cui compriamo un sacco di cose. L'altro vive con noi e ignorarlo non giova a nessuno, né a lui né a noi.

L'apertura verso l'altro e lo scambio interculturale arricchiscono senz'altro il nostro bagaglio culturale ma soprattutto ci aiuta ad assumere un'ottica diversa da quella dominante, una nuova, alternativa e altra rispetto a quella che da sempre ci hanno propinato. Più di una volta ho sentito uomini e donne del mondo arabo criticare il nostro approccio con l'interlocutore fatto di un freddo e sbrigativo: "Dimmi" invece che "Ciao caro, come stai?", quasi come se l'educazione, il rispetto e l'interesse per l'altro portasse via troppo tempo (che è sempre denaro!) alla nostre frenetiche vite. Il contatto con l'altro è fondamentale per recuperare quell'etica che ci apparteneva fino a metà del secolo scorso e che oggi resta solo in chi non ha ancora conosciuto il progresso globale. L'intercultura e i suoi stimoli a mettersi in gioco reciprocamente potrebbero essere la chiave che ci consente di relativizzare il nostro sistema di valori e idee, di superare categorie concettuali, stereotipi e pregiudizi, di arricchirsi di saperi maturati in altre civiltà e infine ritornare nella nostra cultura più coscienti, più obiettivi e magari anche con quel pizzico di etica che i nostri nonni avevano, ma che noi non abbiamo più.

Valentina Creanza
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