Babel. Integrazione attiva

Bambini e adolescenti migranti

Vivere in un Paese straniero

Negli ultimi anni si è assistito ad un progressivo aumento degli stranieri di seconda generazione, ossia i nati in Italia da immigrati e i minori giunti nel nostro Paese al seguito delle famiglie grazie al ricongiungimento familiare. I nati in Italia da cittadini stranieri sono circa 518.700 e al 31 gennaio 2008 i minori sono complessivamente 862.453 (il 22,2% della popolazione straniera totale), un numero in costante aumento tra il 2003 e il 2008. La popolazione straniera in età compresa tra 0 e 17 anni, infatti, nel 2003 si attestava sulle 412.432 unità per poi registrare un incremento del 109,1% alla fine del periodo considerato.

Ma come vivono i bambini e gli adolescenti migranti? Nella crescita dei bambini ci sono particolari momenti di vulnerabilità. Per vulnerabilità si intende una condizione relazionale, in cui subentrano fattori psicologici, sociali e ambientali che potrebbero costituire delle condizioni sfavorevoli ad un sano sviluppo. La condizione migratoria, in alcune fasi evolutive, potrebbe rappresentare una condizione di vulnerabilità, affrontabile con le risorse e la resilienza della famiglia e della società accogliente. L'esito della condizione di vulnerabilità dipende da variabili individuali, familiari e sociali: si può andare verso una direzione favorevole oppure verso una sofferenza che impedisce lo sviluppo. Durante lo sviluppo si possono individuare tre fasi di vulnerabilità: periodo perinatale e primo anno di vita; ingresso a scuola e avvio di un impegno specifico sul piano degli apprendimenti strutturati; adolescenza.

Mettere al mondo un bambino in un Paese straniero è un'esperienza di forte intensità emotiva perché accanto alla situazione di crisi che ogni madre e padre sperimentano, si aggiunge il fatto di vivere un momento molto importante e trasformativo per la propria identità e per il proprio ruolo in assenza della famiglia allargata, che normalmente sostiene la genitorialità sia dal punto di vista materiale che da quello simbolico e tradizionale.
Quando un evento così importante si svolge altrove non tutti i rituali e i compiti della famiglia per la protezione del nuovo bambino possono svolgersi in modo regolare, e questo può creare ulteriore insicurezza nei genitori. Il bambino viene deposto, affidato a una terra non sua, che lo renderà sempre più "straniero" rispetto ai suoi genitori. I modi di reagire sono differenti: per alcune madri una visita al Paese e la presentazione del bambino alla famiglia costituisce soddisfazione e riavvicinamento anche dal punto di vista psichico e della possibilità di sentirsi una madre competente, anche se altrove. Per altre il tempo e lo sforzo di acculturazione permettono di decodificare i messaggi e le risorse del mondo di accoglienza. Per altre ancora esiste l'esperienza di un investimento affettivo importante verso una figura d'aiuto, l'amica, la vicina, la "vice nonna". Per superare queste criticità è necessario creare servizi accessibili e nei casi più gravi utilizzare interventi psicoeducativi e psicoterapeutici.

Altra fase delicata è il momento dell'ingresso a scuola: al bambino viene chiesto di impegnarsi nell'apprendimento della letto-scrittura, ma anche delle regole di convivenza per poter maturare legami affettivi al di fuori della famiglia. In questa circostanza si instaura una dinamica ambivalente fra il legame fondamentale con i modelli culturali di casa e la curiosità/necessità di aderire a quanto viene proposto dall'ambiente esterno. È possibile che alcuni bambini percepiscano una sorta di doppio messaggio: da una parte "vai e impara", "devi essere bravo a scuola", "il successo scolastico ti renderà più capace e più competente di noi", "la scuola è il compimento del nostro progetto migratorio", dall'altra "non devi cambiare", "devi restare fedele alle abitudini, credenze, rituali, che noi ti insegniamo". I genitori possono mandare questi messaggi a livello verbale, o anche in modo non verbale e non cosciente. Il bambino ogni giorno effettua una sua piccola migrazione, da un ambiente domestico dove vive in un determinato modo, parla una lingua, si nutre con cibi del Paese, a un altro ambiente nel quale parla, si relaziona e si nutre in modo diverso.

Ci sono bambini che sentono il loro investimento sull'ambiente esterno, la scuola e le insegnanti come un abbandono nei confronti dei genitori, o che sentono come troppo pesante il mandato migratorio trasferito su di loro. Oltre ai problemi del bilinguismo e della diversa cultura, vanno valutate le dinamiche affettive che sono in gioco nelle difficoltà scolastiche. Spesso si ha l'impressione di trovarsi di fronte a bambini che non hanno problemi cognitivi, ma che non riescono a utilizzare in modo libero e produttivo il loro potenziale. Bambini inibiti, o distratti dalle preoccupazioni domestiche di cui non riescono a liberarsi e come sempre connesse alle difficoltà della condizione migratoria. Bambini che temono di dimenticare la loro madrelingua o di tradire l'affetto dei genitori se li superano in competenza nella vita in Italia. Oppure bambini che percepiscono acutamente il bisogno di essere identici agli altri e che si vergognano di mostrare la propria diversità che è percepita, o fatta percepire, come una mancanza. Altre volte si tratta di bambini che hanno vissuto da piccoli, importanti separazioni e che vengono ricongiunti in occasione dell'inizio della scuola trovandosi contemporaneamente in un momento di destabilizzazione sia culturale che affettiva e relazionale.
I genitori, da una parte vogliono che i bambini si inseriscano e imparino, dall'altra sentono il bisogno di insegnare contemporaneamente anche la lingua scritta del paese, nel timore che troppo italiano cancelli le conoscenze tradizionali. Il conflitto che spesso si incontra fra scuola e famiglia e si esprime attraverso un'incomprensione non verbalizzata e reciproca, che può creare una distanza fra genitori e scuola.

L'adolescenza costituisce un altro momento di vulnerabilità per il compito evolutivo di definizione della propria identità e di separazione/individuazione rispetto alle figure genitoriali, in un contesto nel quale occorre anche elaborare l'identità culturale, sia nei confronti della famiglia d'origine che nei confronti del mondo esterno e del gruppo dei pari. L'ambivalenza è quindi complicata da una parte dal bisogno di abbandonare la posizione infantile, mantenendo i legami affettivi, dall'altra di trovare una identità culturale che non li isoli dai ragazzi e dalle ragazze del mondo d'accoglienza. Il rispecchiamento che gli adolescenti provenienti da altre culture ricevono dal mondo esterno non favorisce una facile definizione di sé e non offre spazi certi di appartenenza. In alcuni casi le richieste della famiglia rispetto ai comportamenti, al successo scolastico e sociale, al compimento del progetto migratorio, non coincidono con i desideri dei ragazzi. Talvolta queste aspettative pesano su di loro, rendendo più complessa la definizione di sé in un mondo che non condivide gli stessi valori e gli stessi comportamenti nella relazione fra le generazioni. Ambivalenza e conflittualità si possono quindi sviluppare in direzioni molto varie, con soluzioni positive orientate a processi di meticciamento o a posizioni nelle quali i valori condivisi permettono lo sviluppo di relazioni in direzione creativa e condivisa, oppure soluzioni che possono evolvere in modo conflittuale o psicopatologico, con grandi sofferenze per tutti i membri della famiglia.

Un tema particolare riguarda i ricongiungimenti familiari: ci sono molte famiglie nelle quali sono avvenuti appunto dei ricongiungimenti di ragazzi e ragazze lasciati al paese molti anni prima, affidati a persone della famiglia di uno o dell'altro genitore, spesso spostati da un parente all'altro nel corso degli anni, che finalmente si possono riunire a una madre o a genitori che non vedono da anni e che non conoscono più. Un meccanismo difensivo utilizzato in queste circostanze è l'"evitamento" delle emozioni: il dolore per la distanza affettiva. L'incontro dopo tanti anni in un paese straniero è un momento di grande rischio relazionale: i bambini non sono più quelli lasciati nel proprio paese e i genitori sono diversi rispetto all'immaginario infantile.

Il processo di costruzione dell'identità individuale e familiare è ostacolato dallo scarso rispecchiamento nei confronti di ragazzi e ragazze che sono nati e cresciuti qui ma che vengono percepiti come appartenenti ad un altro posto. Per un bambino, lo sguardo e le parole sono un aspetto che influenzerà il modo in cui si relazionerà con il nuovo ambiente. Sostenere con un clima di accoglienza e di ascolto i bambini e gli adolescenti migranti in questi periodi critici permetterà agli stessi di vivere la nuova cultura come fonte di arricchimento diventando essi stessi ricchezza per la cultura ospitante.

Marisa Scarabaggio
Psicologa Psicoteraputa
Analista Transazionale
Servizio di Consulenza Psicologica del Centro Interculturale "Babel.Integrazione attiva"


Riferimenti bibliografici
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Finzi, L. (2006). "Nascere straniero". In F. Mazzucchelli (a cura di), Viaggio attraverso i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza. Milano: Franco Angeli.
Grinberg, L. e Grinberg, R. (1990). Psicanalisi della migrazione e dell'esilio. Milano: Franco Angeli.
Moro, M.R. (2001). Bambini immigrati in cerca di aiuto - I consultori di psicoterapia transculturale. Torino: UTET.
Moro, M.R. (2002). Genitori in esilio. Milano: Raffaello Cortina.
10° Rapporto Nazionale sulla condizione dell 'infanzia e dell'adolescenza (eurispes e telefono azzurro).
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