Lucilla Giagnoni, la "sacerdotessa" del teatro

In scena per la terza volta ad Altamura. Presentato lo spettacolo "Apocalisse"

sabato 6 aprile 2019
di Onofrio Bruno


Lucilla Giagnoni, la "sacerdotessa" del teatro. Con "Apocalisse", un lavoro che rientra in una trilogia della spiritualità, l'attrice fiorentina per la terza volta in scena ad Altamura e di nuovo ha entusiasmato.

Giovedì sera, presso il teatro "Mangiatordi", è stata nuovamente invitata da "La Nuova Murgia" e dal giornalista Michele Cannito per il ciclo sul "Teatro civile", così da proseguire un importante percorso culturale e sociale.

Giagnoni parla della vita e della realtà attraverso un'interpretazione drammaturgica molto originale e colta dei testi sacri e della letteratura. Ha scritto decine di lavori.

Aveva già raccolto pieni consensi nei precedenti due spettacoli che si erano tenuti al Teatro Mercadante. Con "Vergine Madre" aveva proposto una rilettura della "Divina Commedia" infarcita di rimandi alla vita di tutti i giorni. Con "Ecce Homo", per parlare di Cristo trafitto in croce, su un legno, aveva scelto un altro "legno" che prendeva vita, il "Pinocchio" di Collodi, mettendo insieme una preghiera laica in cui riusciva a parlare tanto del Vangelo quanto della teoria darwiniana dell'evoluzione.

Con "Apocalisse" l'operazione drammaturgica è analoga, su un testo però decisamente più difficile rispetto ai precedenti che nel vissuto, nella cultura e nel linguaggio sono più immediati (chi non conosce la "Divina Commedia" o "Pinocchio"...). Il contenuto "misterico" dell'ultimo libro della Bibbia di Giovanni è invece una verità che si deve rivelare, svelandola, liberandola dal velo. La "rivelazione" atroce che è nell'"Edipo Re" della tragedia greca di Sofocle è stata scelta come l'artificio narrativo-teatrale per "svelare" l'Apocalisse. Che non è "la fine", come generalmente definiamo "apocalisse" le tragedie, le stragi, i grandi fatti che colpiscono l'umanità. Ma è un "andare oltre". E in questo la funzione del teatro è essenziale, quale manifestazione artistica in grado di far vedere oltre la vita, di rappresentare la morte, e di fare un passo indietro al "qui e ora". Per apprezzare ancora di più la vita, per vederla con occhi e sguardi nuovi perché c'è bisogno di "visioni" e di rispettarla. Perché se, ad esempio, venissero meno le api verrebbe meno il ciclo della natura e quindi sarebbe davvero la fine per gli esseri viventi.

Vestita della sua immancabile tunica, anche esteriormente assume il ruolo di "celebrante" di un rito, come un sacerdote nella messa. E questo rito è quello del teatro, di qui la mia definizione di sacerdotessa del teatro. Il rito in questione è la connessione delle menti, appropriarsi del tempo per riflettere, pensare, immedesimarsi, oppure anche stupirsi, restare perplessi, spiazzati. E intorno a lei, che nonostante l'aspetto minuto si appropria di tutta la scena, sono costruiti i giochi di luci ed ombre (curate da Massimo Violato) e le sonorizzazioni originali di Paolo Pizzimenti che accompagnano le sue parole accentuandone l'intensità.

Non è semplice raccontare uno spettacolo di tali vette, non tanto sotto il profilo artistico - perché è indubbio che Giagnoni sia una grandissima attrice, molto conosciuta al Nord Italia e davvero poco da queste parti - quanto per l'aspetto contenutistico e intellettuale che è stato proposto. Questo che leggete è stato un tentativo, mi auguro riuscito.

Lo spettacolo, presentato dalla collega Maria Paola De Santis, è stato preceduto dagli interventi di don Alessandro Amapani e Francesca Ferrulli. A conclusione i commenti del vescovo Giovanni Ricchiuti, della sindaca Rosa Melodia e dello stesso Michele Cannito, fiero di aver portato un'esperienza di tale levatura per la città di Altamura. Una "missione culturale" che ha sostenuto con la collaborazione di alcune aziende del territorio e con il patrocinio del Comune, sino a chiedere per Giagnoni la cittadinanza onoraria. Proposta che molto probabilmente avrà un esito positivo.