Emergenza cinghiali: la parola a Gerardo Centoducati, Direttore del Consorzio di Tutela Lenticchia di Altamura IGP

"Gli agricoltori devono appoggiare il lavoro del Parco Nazionale dell'Alta Murgia per far sì che il problema diventi una risorsa"

giovedì 22 febbraio 2018
Pochi giorni fa 40 ettari di terreno coltivato a ceci, appena seminati, sono stati distrutti dai cinghiali con un danno di oltre 11mila euro, fra costi per l'acquisto dei semi e quelli sostenuti per la preparazione del terreno. Nel frattempo sono giunte altre segnalazioni da parte di agricoltori che gestiscono aziende sia all'interno sia all'esterno del Parco Nazionale dell'Alta Murgia, i quali hanno subito gli stessi danni.

Cosa si sta facendo per risolvere il problema, diventato ormai una vera e propria emergenza? Quale potrebbe essere la soluzione più giusta per arginarlo?

Lo abbiamo chiesto a Gerardo Centoducati, Direttore del Consorzio di Tutela Lenticchia di Altamura IGP e docente presso la Facoltà di Medicina Veterinaria dell'Università degli Studi di Bari.
"Quella dei cinghiali ormai è una emergenza nazionale, non della nostra zona o del Parco Nazionale dell'Alta Murgia. I cinghiali negli ultimi venti anni si sono incrementati tantissimo diventando un problema serio per gli agricoltori. La questione è più complicata di quanto sembri e la soluzione va trovata a monte, per questo è necessario che l'Ente Parco e la Regione Puglia lavorino insieme" afferma Centoducati.

"Il Parco dell'Alta Murgia viene additato come il responsabile della proliferazione massiccia dei cinghiali, anche perché al suo interno vige il divieto assoluto di caccia. È vero che si potrebbe pensare ad una caccia di selezione intelligente, sia all'interno che all'esterno del Parco, ma bisogna generare delle opportunità - continua il direttore del consorzio - Ad oggi il Parco Nazionale è l'unico Ente che ha normato il controllo dei cinghiali, da anni sta facendo monitoraggio della fauna selvatica sul suo territorio: tutto questo serve ma non basta. Il Parco, infatti, ha partecipato al bando regionale Misura 16.1 (Sostegno per la costituzione e la gestione dei Gruppi Operativi del PEI in materia di produttività e sostenibilità dell'agricoltura) del PSR 2014-2010 con la Facoltà di Medicina Veterinaria dell'Università degli Studi di Bari. Il progetto prevede zone estese di cattura - dobbiamo immaginare recinti enormi - all'interno delle quali vengono messe esche per attirare interi branchi. In questo modo l'animale catturato non soffrirebbe perché rimarrebbe in una zona abbastanza ampia con cibo e acqua. A quel punto, si farebbe una selezione tra chi liberare e chi macellare. Inoltre, è già stato firmato un accordo tra l'Asl e il Parco per il controllo delle carni prima di essere macellate e messe in commercio. L'obiettivo è quello di creare una filiera, con il coinvolgimento di tutte le aziende agrituristiche site nel Parco che avrebbero il vantaggio di "avere in casa" gli animali da cui ricavare carne. Il progetto è entrato già in graduatoria finanziabile".

Per Centoducati è fondamentale che tutti gli agricoltori stiano accanto al Parco e si rendano conto che questo, grazie ad un lavoro di sinergia con la Regione, potrebbe rappresentare l'unica e vera possibilità di uscire dall'emergenza. "Sfruttare in modo razionale la presenza dei selvatici, potrebbe generare un'opportunità per tutti gli agricoltori - dichiara Centoducati - L'aggregazione è l'unica arma che abbiamo per ottenere risorse, economia, visibilità e lavoro, insomma creare reddito, da quello che attualmente è il problema. Ente Parco, Regione Puglia, insieme a Cia, Coldiretti, Confagricoltura e Copagri, devono collaborare e correre ai ripari per arginare l'aumento della specie, prima che sia troppo tardi".

Altre zone d'Italia hanno fatto del cinghiale una fonte di reddito, perché noi della Murgia non possiamo fare la stessa cosa e seguire il loro esempio?